martedì 23 settembre 2008

23 settembre. Da La Bastide le Virac a Comps

Rientriamo nella garriga e nel pomeriggio abbiamo appuntamento alla cappella di Nostra Dama des pantais con due simpatici occitanisti conosciuti la sera prima: Lulù e Jacques, dal riso facile ; ci accompagnano nel villaggio abbandonato di Chastelas, ai piedi di una rocca dalla quale si gode di una vista molto ampia, poi raggiungiamo la sorgente di Fontvive, che ha creato una vasca d’acqua limpidissima di trentadue metri di profondità; una camminata decisamente piacevole segue il rio e ci porta alla strada che conduce a Comps. La Gite d’Etape è una vecchia casa, con i piani superiori adibiti a dormitorio. La cena è preparata in collaborazione con la padrona di casa, come vogliono i nostri accompagnatori. Pasta al pesto e zuppa di pesce. La sera si parla della situazione del territorio: qui sono in molti a vendere i terreni a stranieri o parigini; un tempo si parlava occitano nei consigli comunali ma ora sempre più ci sono sindaci che vengono da lontano. L’alta domanda di case ha alzato i prezzi e reso difficile per i giovani del posto trovare case a costi accettabili. E il territorio sta perdendo la sua identità.

lunedì 22 settembre 2008

22 settembre. Da Aiguèze a Le Bastide de Virac

All’uscita da Aigueze, che ricorderemo come il paese della gente allegra, salutiamo l’Ardeche in un rosa mattutino che merita molte fotografie.
Ci immergiamo nella macchia di larici, bosso, quercia e ginepro; c’è solo il corbezzolo, che con il suo colore rosso-arancio si fa notare tra i colori e le forme immutabili di oggi: la macchia, il cielo, la strada. La Bastide è un villaggio grande, con case imponenti, ma piuttosto vuoto. Un gruppo di occitanisti viene a prelevarci in macchina e ci trasporta a Bessas dove ci è stata organizzata un’accoglienza calorosissima. Al di qua del Rodano sembra che la gente sia più festaiola; il discorso del sindaco è più volte interrotto da battute e risate. Segue, come da copione, la cena sociale, dove un duo di bravi cantanti ci fa conoscere i bellissimi canti lengadociani.

domenica 21 settembre 2008

21 settembre. Da Pont Saint Esprit ad Aiguèze

Tappa breve e poco interessante dal punto di vista paesaggistico, ma l’entrata in paese vale la giornata. Aigueze, è un paese arroccato sulle gole dell’Ardeche. Il suo toponimo contiene infatti le parole acqua e roccia. Al nostro arrivo il sindaco fa suonare le campane della chiesa, e quando giungiamo davanti al municipio, la gente ci accoglie con un grande applauso. C’è ancheJaques Ressaire, checon sua moglie si è occupato della logistica di questi giorni. Dopo i discorsi di benvenuto, le canzoni e poi le storie… in quest’area c’è una forte tradizione di contaires, gente che racconta dellestorie in linga d’oc, solitamente buffe, inventate o rielaborate; alcune sono in prosa, altre in rima, altre ancora utilizzano parole che terminano tutte con la stessa sillaba.
Siamo invitati ancora una volta a pranzo, è la terza volta che succede, nel giro di veniquattr’ore!
Sul finale riesco a svicolare al campeggio, dove il comune ci ha offerto ospitalità in due bungalow in stile canadese, e qui finalmente, riesco a ridimensionare le foto per il blog.
Dopo la visita al paese illustrata in modo poco ortodosso da Jac il contaire, la sera ci aspetta un’enorme paella. Il vino scorre a fiumi e a fine serata il sindaco declama versi incomprensibili.

sabato 20 settembre 2008

20 settembre. Da Sainte Cecile a Pont Saint Esprit


Oggi si parte presto, perché siamo invitati sia a colazione che a pranzo. Ad un certo punto del percorso giungono quattro automobili a prelevarci per portarci a Bolene. Tra queste ce n’è una con le bandierine provenzali a lato in pieno stile presidenziale. Mi piace questo carattere solenne e allo stesso tempo ironico di certi provenzalisti. Dopo l’accoglienza ufficiale del sindaco visitiamo il Cèntre de documentacioun prouvençalo de Parlaren di Bolene. Alain Courbet, il baile del Felibrige, uno dei fondatori del centro, ci accompagna a visitare la biblioteca che raccoglie 4200 libri (datati dal XV al XX secolo) e 30 000 documenti in lingua d’oc.
Superato Mondragon, ci raggiunge Jean Louis, un tambourinaire che accompagna gli ultimi chilometri della giornata a tempo di marcia, con il galoubet. Il vento fa da controcanto. Così la nostra camminata, che per la prima volta passa in una piana, tra cavalcavia e tralicci dell’alta tensione, recupera un po’ di poesia. Siamo tutti ansiosi di arrivare al famoso ponte che settecento anni fa ha messo in collegamento le terre provenzali a quelle dal Languedoc. Una ragazzina ci segue con i rollerblade. L’attraversamento del ponte avviene in un’atmosfera epica; oggi è la giornata del patrimonio, forse l’unico giorno dell’anno in cui il ponte è chiuso al traffico. E il sole basso ci dona una luce perfetta. Mentre percorriamo gli ottocento metri sul Rodano e salutiamo così la Provenza, molte persone ci vengono incontro. Tra loro c’è anche mio padre che ridendo ci accoglie dicendo “voi siete pazzi!” Alla fine del ponte ci attendono il sindaco e alcuni rappresentanti dell’IEO e del Felibrige. Non potevamo sperare di meglio da questa accoglienza nel Languedoc. E una nuova parola fa capolino: osco! … evviva!

venerdì 19 settembre 2008

19 settembre. Da Vaison la Romaine a Sainte Cecile les Vignes

Sole e vento provenzale… ventisette chilometri e non sentirli! La giornata comincia con un sentiero intricato e decisamente poco frequentato, in mezzo al bosco, poi si cammina più dolcemente tra le vigne. Siamo nella zona di produzione del famoso Cote du Rhone. L’accoglienza a Saint Cecile è solenne, in pieno stile felibrenco. Nel corso di questo passaggio in Provenza abbiamo avuto modo di conoscere diverse persone che fanno parte del Felibrige, l’associazione fondata nel 1854 da Frederic Mistral, poeta provenzale che ottenne nel 1904 il Premio Nobel per la letteratura. Mi hanno da subito incuriosito per i simboli che portano sulle spille: la cicala, la pervinca, la stella a sette punte. Intellettuali, eleganti, amanti dei riti, ma anche radicati nella realtà attuale, non sono fautori della deriva
folkloristica che colpisce alcuni nostalgici della tradizione.
Il sindaco di Sainte Cécile consegna a Ines la medaglia del comune… peserà circa seicento grammi! Da buoni camminatori non possiamo fare a meno di notarlo. Dopo aver cantato la Coupo Santo, inno del Felibrige, si passa all’aperitivo. Vino rosso e rosé, cosce di pollo e paté. Una signora ci regala una cotognata da due chili.

mercoledì 17 settembre 2008

18 settembre - Vaison la Romaine

Solo un appunto. Il tempo accelera ancora, gli avvenimenti si susseguono ed è difficile tenervi capo. Per il momento posso solo fare un rapido rassunto: S.Vincent sur Jabron - Montfroc - Montbrun les Bains - Sault - Flassan - Malaucene sono le tappe di questi ultimi giorni. Siamo arrivati a circa 380 chilometri di cammino, abbiamo fatto un dislivello di 16000 metri in salita e 16800 in discesa; siamo stati accolti calorosamente da tante persone nelle sale comunali, nelle piazze e nelle case. Quasi ogni sera ci è stato offerto un aperitivo, al quale a volte è seguito uno spettacolo, come quello di Renè Satte che ha cantato a voce nuda nella cappella di Montfroc, o come l'intervento di Plantavin, che ha cantato tra i tavoli a Malaucene. E poi le visite, come quella alla distilleria di lavanda di Sault o alla cantina di Luc a Flassan, alla quale è seguita una cena in famiglia. Gli obiettivi comunicativi di questa camminata sono riusciti i pieno. Il mio ginocchio dolorante migliora è si prepara per le Cevenne. Ora qui a Vaison è stato organizzato una cena con baleti nella sala comunale e devo andare... gli aggiornamenti al prossimo internet point!!!

18 settembre - Vaison la Romaine

Fa piacere avere accanto all’albergo un baretto in stile « peggior bar di Caracas ». C’è il tempo per fare un aperitivo con Tilbert Stegmann, professore di lingue all’Università di Francoforte, che ha fatto con noi queste ultime due tappe da Flassan. E’ una persona allegra e curiosa, che ha portato una buona dose di allegria nella nostra compagnia.
Insieme ad un collega ha messo a punto un metodo di apprendimento delle lingue romanze, che sistematizza leesperienze che tutti fanno quando cercano di comprendere una lingua dello stesso ceppo. Con questo metodo, che si chiama Eurocom (www.eurocomcenter.com), a partire per esempio dall’italiano si riesce molto velocemente a leggere in francese, spagnolo, portoghese, occitano, rumeno, arrivando in due settimanea comprenderne l’ottanta per cento senza studiare la grammatica. Lo stesso metodo è stato poi applicato al sistema anglosassone ed è ora in fase di preparazione il metodo per le lingue slave.
Tilbert ènato a Barcellona da genitori tedeschi e ora parla quasi tutte le lingue europee. “Il cervello non è una cavità che può essere più o meno riempita, ma un muscolo: più lingue impari, più il cervello è allenato – tiene a sottolineare - Per questo è assurdo preferire lo studio dell’inglese allo studio di una lingua meno utilizzata. Nonsuccede mai che una lingua rubi spazio ad un’altra”. E’ venuto a sostenere l’appello per la Lingua d’oc patrimonio mondiale dell’Umanità perché, dice, salvare una lingua è sempre un’azione positiva e la lingua d’oc, oltre ad avere tutto il prestigio che le deriva dalla storia medievale, in questo momento ne ha bisogno; per questo deve essere la prima lingua ad essere inscritta nella lista dei beni immateriali dell’UNESCO.

17 settembre. Da Malaucene a Vaison La Romaine

Sulla strada per Vaison facciamo sosta nel villaggio di Crestet, costruito dai saraceni e poi caduto in rovina, fino a quando nel 1931 il pittore René Duriot decide di prendervi casa. A quel punto, ci dicono, comincia la rinascita: molti artisti scelgono di viverci,poi arrivano anche dei banchieri e il famoso architetto Roger Anger, che ha acquistato il castello, facendone una ristrutturazione che lascia intatte le rovine esterne. Ora Crestet è perfettamente ristrutturato, ed è certamente un luogo moltobello, ma come succede per molti villaggi provenzali, manca del tutto la vita di paese. Un paese da cartolina. Per la maggior parte si tratta di seconde case.

martedì 16 settembre 2008

16 settembre. Da Flassan a Malaucène






Il percorso è bello e variegato. Il mistral di ieri ha fatto il suo lavoro: la giornata è limpida e non si suda. La vegetazione e i profumi sono decisamente mediterranei, anche se il mare di qui non si vede; lo si può vedere nelle giornate terse dalla cima del Ventoux. Camminiamo ancora sulle sue pendici in un bosco di lecci, pini e betulle, tra timo, maggiorana, rosmarino e tante more selvatiche. Sono costretta ancora ad usare i bastoncini per via del ginocchio, ma mi sento forte e compatta e le salite non mi fanno più paura. Dopo un’ora e mezzo di sentiero troviamo un biglietto di benvenuto attaccato ad un albero, firmato dagli “Enfants de Bedoin”.





Alle volte sembra di essere in un viaggio dantesco: personaggi che compaiono, parlano e si dissolvono… Come Gerard Damian, jeans, camicia e basco neri, che troviamo ad attenderci in un punto dove il sentiero compie una grossa curva. Si presenta e poi ci racconta del suo paese, Bedoin, e del Mont Ventor, come si pronuncia in occitano. Scopriamo così che il nome del monte non è legato al vento di mistral che in questa zona soffia violentissimo, ma al fatto che sia una montagna che si vede dal mare.

Dopo pranzo ci infiliamo nella Cumba Escura, che sale per 450 metri tra le falesie calcaree.
Malaucene ha un’aria decisamente cittadina, con il suo viale ornato da vecchi platani, che fanno ombra ai dehor dei bar e dei ristoranti. La finestra della mia stanza d’albergo si affaccia sul viale principale e tra le foglie vedo la gente seduta ai tavolini. Ci voleva.

lunedì 15 settembre 2008

15 settembre. Da Sault a Flassan

Giunti alle pendici del Mont Ventoux, saliamo su terreno pietroso fin sopra i 1000 metri dove, come da copione, tira forte il mistral. Lungo la strada troviamo due bivacchi aperti, dotati di legna e camino, dove possiamo mangiare riparati ed effetture il collegamento telefonico con Radio Popolare. Il bosco di pini ci impedisce, se non per un breve scorcio, di vedere la cima pelata del Ventoux, il famoso “Gigante di Provenza” salito e descritto dal Petrarca.
La sera, a Flassan, siamo ospiti di Luc vignaiolo occitanista, e di sua moglie, che dopo averci fatto visitare e assaggiare i vini della sua cantina, ci offre una cena completamente autoprodotta e servita dai loro quattro figli. Con noi c’è anche il cantautore Plantevin.

domenica 14 settembre 2008

14 settembre. Da Montbrun les Bains a Sault

Oggi siamo in cinquantotto, tra randonneurs e rappresentanti dell’associazione Provença Terra d’oc e tra noi finalmente ci sono anche dei giovani e giovanissimi, come Alban, 19 anni, che impara l’occitano parlando con gli anziani e navigando in Internet su myspace; o Florent Charras, contadino ambientalista e occitanista di 24 anni, che sta organizzando l’accoglienza dell’Occitania a pè a Vaison. Anche lui non ha imparato la lingua dai genitori ma ha sentito il bisogno di apprederla.
Qui le storie di emigrazione non si contano. Una signora che di cognome fa Bottero, mi racconta della sua bisnonna, originaria di Frabosa Soprana ed emigrata a Marsiglia per lavorare in fabbrica. Con la Rivoluzione Industriale, Marsiglia era divenuta la meta di molti migranti in cerca di lavoro, grazie ai cantieri navali e alle fabbriche dove venivano trasformati i prodotti grezzi provenienti dalle colonie. Gli emigrati delle nostre valli non si sentivano stranieri in Provenza, poiché qui si parlava la stessa lingua, la lenga d’oc, tanto che a inizio Novecento c’erano nel porto vecchio di Marsiglia alcuni negozi che recavano la scritta “Ici on parle Français”.

13 settembre. Da Montfroc a Montbrun les Bains


Un dolore al ginocchio, al quale non avevo dato troppo peso, è aumentato nella notte e sono costretta a saltare la tappa, che sale sulla montagne de Lure e discende a Montbun les Bains. Per fortuna c’è con noi Daniela Tosello, presidentessa dell’IEO Droma, che mi porta in macchina alla Gite d’Etape di Montbrun.
La sera raggiungo il gruppo nella sala comunale, dove ci viene offerto un ricco aperitivo. Sono troppo zoppa per poter andare in giro a curiosare tra le vie del paese; mi siedo un po’ abbattuta ad un angolo della strada, e da un’automobile che mi passa accanto mi sento chiamare… E a sorpresa compaiono Daniele e Luisa, in arrivo dalle Valades per fare un pezzo di cammino con noi!
Montbrun è un suggestivo paese abbarbicato su di una rocca; nel suo castello visse nel XVI secolo il curioso personaggio del conte Carle Depuis de Montbrun, calvinista, noto per le sue imprese ribelli: si può dire che ne fece più di Bertoldo in Francia! Per comiciare rubò il tesoro papale a Malaucene, poi rubò i bagagli di Enrico XIII, venuto dalla Polonia per essere incoronato re di Francia, infine fu imprigionato dal cattolico Conte di Gard e decapitato a Grenoble.

sabato 13 settembre 2008

12 settembre. Da San Vincent su Jabron a Montfroc


Una bella camminata a saliscendi tra boschi e garriga ci conduce a Montfroc, dove il sindaco Lopez ci organizza una grande accoglienza: ci sono alcuni politici, rappresentanti dell’IEO (l’Istituto d’Estudi Occitan) e tra la gente del paese, alcuni anziani originari delle vallate italiane. Dopo i discorsi di benvenuto nella cappella di Montfroc, ci godiamo un bellissimo concerto di Renat Sette a voce nuda.

giovedì 11 settembre 2008

11 settembre. Sisteron – San Vincent su Jabron


Siamo entrati nella Valle del Jabron, che costeggia la grandiosa Montagne de Lure. Andrè Maurel e Yvonne, l’arzilla signora ottantaduenne conosciuta sul Col de la Clapuose, ci accompagnano per qualche chilometro e poi ci salutano; sono due belle persone che non dimenticheremo. Yvonne ci lascia dei cioccolatini a forma di oliva che, dice, torneranno utili nei momenti più duri.
Giornata uggiosa. La Provenza senza il suo cielo chiaro perde metà della sua bellezza, e questa prima tappa, che porta a San Vincent sur Jabron non mi lascia un gran ricordo. A dire il vero non vedo l’ora che finisca. La sera ci godiamo dall’ingresso della Gite d’Etape, un acquazzone portentoso.

Sisteron, la clau de Provença

La Rocha de la Bauma, con le sue imponenti creste calcaree, occupa tutta la visuale della finestra della stanza al terzo piano dell’Hotel de la Cittadelle, insieme ai nostri preziosi capi tecnici stesi alla bell’e meglio sulla ringhiera. La traversata delle Alpi è compiuta, anche se il cielo oggi non é quello che ci si aspetta dalla Provenza. Sono le dieci, e la giornata é iniziata già da molto: con Elisa, Peyre e Pascal, siamo stati alla lavanderia automatica, a comprare la frutta al mercato e a visitare la cattedrale; Elisa ha cominciato con me a fare le interviste video sulla prima parte del viaggio e Andrè di Sisteron Randò, il nostro gioviale accompagnatore dell’ultima tappa, ci ha aiutato a recuperare un adattatore di corrente per il computer. Sono contenta di avere un po’ di tempo da poter dedicare a quello che è già successo, senza che succeda subito qualcos’altro. In questa stanza, perlomeno, cerco di congelare per un po’ il presente e fare mente locale; e proprio ora, mentre scrivo, ferma in un luogo per più di una notte, mi pare di capire meglio il significato di questa espressione...

martedì 9 settembre 2008

9 settembre - Da Authon a Sisteron

Ecco una tappa rilassante, che mi permette di fare una lunga conversazione con Miqueu Benedetto, Majourau del Felibrige, un uomo che ha una grande passione per la storia ed un'infinità di cose da raccontare: la povertà della terra pietrosa che stiamo attraversando, impossibile da coltivare, l'emigrazione verso Marsiglia in particolare delle donne del luogo, note per essere delle buone balie.
E poi la leggenda dei pententi, le curiose formazioni di roccia che si vedono in lontananza. Si dice che, al tempo dei saraceni, le moresche prigioniere venissero trasportate in barca lungo il fiume e che il loro canto stordisse gli uomini che lo ascoltavano. Per questo San Donato chiese ai monaci di pregare per sconfiggere questo canto che non poteva che essere opera del demonio; ma al passaggio dell barca, i monaci, tutti intenti a pregare, non resistettero alle melodie delle moresche e si alzarono incantati. Per punizione San Donato li trasformò in roccia affinché restassero per sempre in preghiera.

Non ricordo come, ci troviamo infine a parlare delle grandi strade romane e del locus, ovvero il posto dove i viaggiatori si accampavano per la notte, il quale doveva avere due principali caratteristiche: quella di essere un luogo aperto e pianeggiante, per ridurre al minimo la possibilità di subire delle imboscate, e quella di avere un tempio, che fosse già esistente prima dell’arrivo dei Romani, nel quale inserire le divinità dell’Impero.
Ma che necessità c’era di trovare un luogo che soddisfacesse entrambe le esigenze allo stesso tempo? Non sarebbe stato più semplice costruire dei nuovi templi lungo il percorso?
Per comprendere tutto questo bisogna guardare il mondo con altri occhi: nell’antichità un luogo non valeva un altro; i luoghi sacri non sono mai stati scelti a caso, ma attraverso un tipo di sensibilità che l’uomo della modernità ha perduto. Molto spesso, al di sotto di un edificio religioso si trovano i resti di un tempio più antico: questa stratificazione non rappresenta solanto dei passaggi di potere. Un luogo non vale mai un altro. Soltanto uno spazio vale un altro, quando si riduce ad una semplice misura; e l'idea di spazio, vuoto, equivalente ad un'altro della stessa metratura, dove si può indifferentemente decidere di costruirvi una casa, una strada o qualcos'altro, è un'invenzione della modernità.

8 settembre - Da Barles ad Authon

Ecco il vento di Provenza, un'aria nuova, freschissima, che accompagna il sole caldo; il cielo è quello: azzurro chiaro. Ci ha raggiunto una nuova compagnia piuttosto chiassosa di randonneurs, sono una quindicina di persone. Il paesaggio al Col de la Clapouse è dolce, con l'erba dorata e le forme ammorbidite di queste ultime propaggini delle Alpi. Raggiungiamo il colle successivo camminando su di un ripido prato senza sentiero. Dall'altra parte ci aspetta un altro gruppo, che fa parte dell'associazione Sisteron Rando'; con loro c'è Yvonne, una signora che, stento a crederci, ha ottantadue anni... ed è un'eterna bambina: con lei e Peyre in discesa ci mettiamo in testa e stacchiamo tutto il gruppo!

Si sente che siamo definitivamente usciti dalle montagne per entrare in un nuovo mondo, con le cicale tra l'erba, una vegetazione ricchissima dal profumo mediterraneo, le gravine di marna nera.

lunedì 8 settembre 2008

7 settembre - Da Seyne a Barles

Tappa lunga 25 chilometri in mezzo ad alte colline, che ci fanno compiere lunghi zig zag; la salita iniziale su marna nera ci taglia il fiato e le gambe. Pranziamo accanto al rifugio di un giovane che sta facendo il suo stage da pastore. Poi, poco prima di ripartire, Pascal annuncia l'arrivo in lontananza di un camminatore solitario con un drappello occitano; E' Miqueu Pratt, cantore occitano, un uomo allegro, con occhi curiosi e polpacci giganti.

Uno degli aspetti più incredibili di questa camminata è la comparsa improvvisa di persone, che spuntano fuori da ogni luogo e si uniscono a noi; qualche giorno fa Albert, un valdaranese, ci ha raggiunti in alta montagna, poco dopo la Tete de Sestriere; prima ancora un pastore ci ha inseguiti sopra il Col D'Alos, per chiederci se eravamo il gruppo in cammino per la lenga d'oc, e oggi arriva Miqueu, che era già entrato in scena all'Abbaye de Laverq, bussando alla porta del rifugio durante l'aperitivo.
A Barles veniamo accolti con organetto e tambourin: una mazurka da ballare con gli scarponi.
Il paese è poco più di una fila di case in un vallone lungo la strada. Siamo in un luogo d'eccezione per i geologi, perché conserva delle formazioni di roccia (velodrome) che testimoniano i movimenti delle placche che diedero vita alle Alpi.
Qui sembra che il tempo si sia fermato agli anni settanta, a partire dal parco macchine che ci si presenta all'entrata del villaggio; le piastrelle del pavimento, il bancone del bar, le tende alle finestre del nostro albergo, perfino le pieghe delle lenzuola hanno il sapore al passato remoto della mia infanzia. Una sensazione di pace, dolcezza e malinconia mi riporta indietro da Giovanna e Nan, i miei nonni materni. Ecco... è a casa loro che ho vissuto tutto quello conosco di un tempo diverso da questo.

6 settembre - Dall'abbaye de Laverq a Seine

Stemperiamo l'aria frizzante mattutina con passi veloci che a sei chilometri l'ora ci conducono a San Berthelemy; qui salutiamo Bertrand, che ci consegna nelle mani di un gruppo di randonneurs dell'associazione L'Asoles. Saliamo al Col de Bernardez, dove percorro l'ultimo tratto senza troppo guardarmi intorno. Il colle si attesta come fase ansiosa di ogni giorno di cammino; tutti quanti si allontanano e avanzano troppo veloci e continuo a non capire quale piacere possano trarre da una tale fatica. Quando arrivo al colle, Riccardo corre ad abbracciarmi e a complimentarsi; in effetti non ho versato neanche una lacrima.
Il paesaggio che ci si offre davanti è nuovo e rassicurante: non un'altra valle selvaggia ricoperta di conifere, prati o pietre, ma una campagna dolce, gialloverde, collinosa, con i campi contornati da alberi. Al piccolo abitato di San Pons le prime conferme del cambiamento: la luce dei campi, lo stile delle case, gli orti fioriti; un primo accenno di campagna provenzale, anche se domina ancora il verde scuro dei boschi. La cittadina di Seyne appare compatta e arroccata. Veniamo accolti dal sindaco nella fortezza del paese poco prima che cominci a piovere a dirotto.

sabato 6 settembre 2008

5 settembre - Dal Col D'Alos all'Abbaye de Laverq

L'Abbaye de Laverq... quando ho scritto la guida introduttiva al percorso, cercando informazioni tra guide e siti internet, questo luogo mi aveva incuriosito molto: lac vert... gli alberi dell'ubac che si specchiano nell'acqua, un lago che scompare, un'antica abbazia. Frati e monaci hanno sempre scelto i luoghi migliori, e questa valle umida e accogliente in cui arriviamo dopo aver seguito la lunga cresta desolata della Tete de Sestriere ha un carattere speciale. Una piccola valle raccolta, con boschi scuri e fitti, una piccola fonte termale fredda, un'architettura semplice e curata, fatta di pietra, legno, lamiera. Un luogo solitario ma non desolato. E' stato un colonnello a battersi negli anni settanta affinché questo posto rimanesse selvaggio e allostesso tempo le borgate non cadessero a pezzi e fosse conservato quel poco che resta dell'antica abbazia dell'undicesimo secolo. Un luogo che conserva una grande vitalitá che non capisco da dove provenga. Per la notte c'è un bel rifugio di legno su due piani; non è custodito, ma è completo di stufa, cucina e bagno. Qui ci raggiongono Pier Sharpenel che con sua moglie Marie e gli amici, ci preparano una cena memorabile.

4 settembre - Da Alos al Col d'Alos

La pioggia è caduta copiosa per tutta la notte accompagnata da tuoni paurosi. La mattina, alle sei meno dieci, entra Jusep in camera battendo le mani; ha deciso di svegliarci prima del previsto, ma nessuo si muove. Il cielo fuori è plumbeo. Si sale un'altra volta e io non ho per niente voglia di faticare. Poi pian piano comincio a godermi il cammino tra larici e pini neri. Le nubi intanto si alzano e s'abbassano.
Il gruppo dei Cairrairou è diventato più scherzoso, e Jusep, che inizialmente sghignazzando diceva di capire appena il "patois", si è lasciato andare e ha cominciato a parlarlo con Dario. "Patois" era un modo spregiativo francese per indicare una parlata locale, anche se tutti quelli che qui parlano la lenga d'oc l'appellano solo con quel termine. In Francia c'è una sorta di blocco psicologico: la scuola ha castigato e messo alla berlina per molto tempo coloro che a casa parlavano una lingua che non fosse il francese. E questo ha segnato profondamente i sentimenti di queste persone rispetto alla loro lngua madre; nessuno ne è fiero.

3 settembre - Dal Col d la Cayolle ad Alos

La giornata, cominciata allegramente, prende per me una piega più drammatica nella prima salita, verso il Col de la Cayolle. Fa molto freddo e la colazione mi resta sullo stomaco; per qualche minuto mi rifiuto di proseguire e avanzo l'ipotesi di tornare al rifugio, mi sembra di avere ingoiato un mattone rotto. Ci siamo... uno dei tanti casi in cui la mia fragilità viene fuori prepotentemente e io so che ha tutta la volontà di farsi sentire. Sono terrorizzata. Peyre, Elisa, Ines e Riccardo sono il mio gruppo di sostegno e mi accompagnano fino a che pian piano il mattone si scioglie.
E' difficile, dopo averla negata per anni, fare i conti con la propria paura. Ho fatto conoscenza della mia fragilità tre anni fa, quando mi sono venuti i primi attacchi di panico. Prima di allora adoravo gli spazi solitari dell'alta montagna. Ora ci sono lunghi tratti in cui non mi guardo intorno e per una serie diminuti identici il mio sguardo è posato sulle pietre che calpesto.

Oggi, appena superato il grande lago di Alos, in un bosco generoso di lamponi e fragole è arrivata la prima pioggia... un piacere per l'olfatto. Quando si cammina nel bosco mi rilasso, mi piace stare in silenzio e non avere nessuno davanti a me. L'alta montagna invece mi mette voglia di scendere al più presto, inutile negarlo. Il mio sguardo sopporta poco quelle ampiezze: si aggrappa alle pietre dei ripari e al tracciato della via che mi porta giù, dove l'aria è più dolce, il vento mi accarezza invece di fendermi, e gli alberi mi fanno ombra, il bosco mi accoglie nel suo profumo e la terra è più scura e viva.

2 settembre - Da San Dalmas le Selvage al Col de la Cayolle

La camminata fino al Refuge de Sestriere percorre la valle e sale un po' ripida per essere prima mattina. Qui incontriamo i nostri accompagnatori della Federation e cominciamo la salita al Col de la Braissa. Il percorso é diventato decisamente piacevole: si sale più gradualmente in un bosco ricco di fragole selvatiche, che fa rallentare la marcia. Al colle ci apetta un folto gruppo di randonneurs equipaggiati di ogni sorta di specialità culinarie: tartine di cipolla, formaggi di capra, salumi, cous cous, torte al cioccolato e nocciole, confettura di cotogne... impossibile ricordare tutto! E poi vin rosè, vin de citron, nocino, genepy... Dopo il banchetto il gruppo ridiscende verso San Dalmas e noi veniamo consegnati a Bertrand, ex colonnello di Barcellonette e a sua moglie Dominique. Stoicamente resistendo al vento gelido, ci illustrano la pietra di confine datata 1713 tra la Savoia e il Regno di Francia.
Raggiungiamo veloci e un po' intrizziti il Col de la Sanguiniere (2601 m) e subito nella pietraia della discesa ci accoglie un caldo mediterraneo. Più in basso il sentiero diviene un tappeto erboso che corre accanto al torrente e mi regalo qualche passo a piedi nudi. La tappa di oggi é decisamente lunga, e finalmente, al quarto giorno di cammino, per la prima volta accade che per venti minuti camminiamo in fila senza che nessuno parli.
Giungiamo al Rifugio che sono quasi le sette. Abbiamo fatto sei ore e mezza effettive di marcia. Mi sento forte... e oggi è anche il mio compleanno! Facciamo appena in tempo a metter giù le nostre cose in camera che Robert, il gestore, ci chiama per la cena cena battendo i coperchi.
Nel corso della serata, scopriamo che Robert è un baritono: con il contrappunto di Peyre ci canta un'aria dal Dongovanni.

1 settembre - Dal Refuge de Vens a San Dalmas le Selvage

All'alba del terzo giorno di cammino comincio a rendermi conto che siamo partiti. Cerco di entrare nel mio ruolo di cronista e giro con il mio taccuino, ma faccio fatica ad afferrare tutti i volti nuovi e a far convivere questo mondo in movimento con la mia stanchezza: in realtà tutto quello che voglio é respirare bene, mangiare con gusto, distendermi e riposare. Al massimo ridere. Livello base.La tappa di oggi è semplice e riusciamo ad arrivare a San Dalmas le Selvage prima che cominci a piovere. Marie Benoit Grasse, della Federation Françoise de Randonnée ci accompagna fino alla Gite d'etape. E' una signora di 62 anni, un po' mascolina, ex ingeniere elettronico, che mentre ci guida nell'ultimo tratto poco frequentato, spazza via i rami che intralciano il sentiero. San Dalmas é uno strano paese, che pare uscito da un fumetto francese alternativo. I tetti tradizionali sono fatti con della assi di larice. Le case sono accozzaglie di grossi mattoni messi male, alcune sono adornate con fiori, pannocchie e corna di animali. In generale c'è una tendenza ad appendere un po' di tutto. L'insieme è armonico, fantasioso, pare un gioco di bimbi. Il paradiso dei disegnatori! Sembra che i piani superiori di certe case siano stati aggiunti successivamente senza tenere in alcuna considerazione cio' che è stato fatto prima. E c'è una casa che non ha una persiana uguale all'altra. Anche il cimitero rispecchia la stessa accozzaglia casuale di stili! La piazza centrale ben curata è orfana della stagione turistica; incontriamo soltanto una signora bionda in rosa che parla con un gatto. Ci accoglie all'ufficio turistico una giovane coppia, forse troppo abituata alle scolaresche, che ci mostra le diapositive della flora e della fauna del Parco del Mercantour. E ci sentiamo tutti un po' in gita!

giovedì 4 settembre 2008

31 agosto - Da Pietraporzio al Refuge de Vens

Stefano Martini, 59 anni, di Pontebernardo, nato tra le pecore e laureato in dialettologia, si occupa dal ’77 dell’identità culturale dell’Alta Valle Stura. A lui si deve l’Ecomuseo della pastorizia di Pontebernardo, un bello stabile moderno, con i muri interni misto pietravista/intonaco, grandi travi sul soffitto e parquet a terra. Una sola grande stanza molto densa: ricca di fotografie, video, racconti, che accostano alla pastorizia della Val Stura, le esperienze dei pastori di altri luoghi del mondo. E soprattutto i legami forti con i territori di oltralpe, dove i pastori delle valli cuneesi andavano a lavorare per la transumanza: la Provenza e la Crau.
Stefano ci consegna un bastone che ci accompagnerà nel cammino, con incisa la pecora nera simbolo del museo; lo prende in consegna Ines, che alle volte sembra un po' il nostro pastore, e poi partiamo per la lunga salita verso il Col del Fer. Ci accompagna Annibale Salsa, presidente del CAI e antropologo dell'Università di Genova.
Giornata dura, i 1700 metri di dislivello in salita e 800 in discesa, mi portano ad un livello base di priorità: respiro, cibo, acqua, riposo.
Sul Col del Fer ci attendono da più di due ore i camminatori del CAF, il club alpino francese e della Federation des Randonneurs; sono almeno una ventina. Uno di loro accompagna la nostra ultima ripida salita suonando il galoubet, il flauto provenzale. Hanno portato con loro bottiglie di vino, pastis e cassis, succhi di frutta e salatini, ma comincia a far freddo e scendiamo tutti al rifugio de Vens, in un ambiente eccezionale, sulla riva del primo di cinque laghi che si gettano uno nell’altro. Georges Torrelli, del CAF Nice-Mercantour ci accoglie con un discorso di benvenuto, insieme a Robert Gstalder, che più avanti nella serata aprirà il suo bar personale fatto di tanti flaconcini di plastica che contengono ogni sorta di digestivo.